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sabato 13 ottobre 2012

A che punto siamo con l'inclusione scolastica a fine 2012? di Salvatore Nocera


Siamo onorati di ricevere il primo post con cui apriamo il nostro blog e ringraziamo l’avvocato Salvatore Nocera: per il post e soprattutto per tutto quello che fa per il mondo dell'handicap:

Sia pur con ritado, Vi allego il mio intervento. riducetelo liberamente se Vi sembra troppo lungo.
Cordiali saluti ed auguri per il Vostro nuovo lavoro.
Salvatore Nocera


A CHE PUNTO SIAMO CON L’INCLUSIONE SCOLASTICA A FINE 2012?

DI SALVATORE NOCERA

Vicepresidente nazionale della F I S H , Federazione italiana per il superamento dell’handicap

I dati numerici


            A chi vuole indagare il fenomeno si presenta in crescita numerica ma, a mio avviso, in decrescita qualitativa e culturale.Siamo ormai arrivati ad oltre centonovantaseimila alunni frequentanti le scuole statali, cui si aggiungono circa diecimila frequentati le scuole paritarie e circa quindicimila frequentanti l’università.E’ inoltre da tener presente che  di questi circa quindicimila sono studenti stranieri con disabilità.Gli insegnanti per le attività di sostegno sono  quasi centomila e numerose decine di migliaia sono gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione assegnati dagli Enti locali; a questi si aggiungono alcune migliaia di incarichi assegnati ai collaboratori scolastici per l’assistenza igienica degli alunni con disabilità più gravi.
            La normativa nazionale e regionale rimane sempre ad alti livelli di formulazione dei diritti, rafforzati dalla costante attenzione della Magistratura, anche costituzionale e dall’entrata in vigore della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata con l.n. 18/09.

Le contraddizioni indotte

            A fronte di questi dati incoraggianti però si debbono rilevare alcune situazioni che stanno seriamente modificando  il modello italiano di inclusione, dovute soprattutto ai crescenti tagli alla spesa sociale. Tali tagli stanno anche determinando un notevole cambiamento culturale nelle famiglie e negli operatori, specie scolastici che offuscano il disegno che a partire dalla fine degli Anni Sessanta e sino alla fine degli Anni Novanta  si era venuto realizzando in Italia.
            Infatti i crescenti tagli alla spesa pubblica  e le coeve riforme Moratti( 2003 ), Fioroni( 2007)   e Gelmini ( 2008 e seguenti  )  hanno determinato un sovraffollamento  pauroso nelle classi. Conseguentemente i docenti curricolari , anche se l’avessero voluto, non hanno più potuto occuparsi degli alunni con disabilità, come invece è avvenuto fin dalle origini, e gli alunni, specie quelli con maggiori difficoltà, sono stati emarginati in classe o mandati fuori della classe con assistenti e bidelli. A ciò hanno reagito le famiglie con   ricorsi sempre crescenti alla Magistratura, la quale ha in modo ineccepibile enucleato il diritto allo studio degli alunni con disabilità come diritto costituzionalmente fgarantito e non comprimibile per soli motivi di  tagli ai builanci.In tal senso è illuminante la Sentenza della Corte costituzionale n. 80/10 della Corte costituzionale.
            Però la  “ via giudiziale all’inclusione scolasticva “ ha prodotto degli effetti indotti non voluti e fortemente distorsivi. Infatti le famiglie, abbandonate dai docenti curricolari, hanno richiesto ed ottenuto un sempre maggiore numero di ore di sostegno per i propri figlioli, talora sottraendoli agli altri, sino addirittura a pervenire ad alcune pronunce che assegnano le ore di sostegno per tutta la durata dell’orario scolastico.
            Tutto ciò ha provocato un continuo allontanamento dei docenti curricolari dalla formazione per l’inclusione scolastica ( come era invece avvenuta nei  primi Anni Settanta, quando non esistevano ancora gli insegnanti per il sostegno ,  e negli Anni  Ottanta-Novanta   , quando si rinnovarono i corsi di specializzazione  e di aggiornamento  specie per l’inclusione nelle scuole superiori  con la Sentenza della Corte cost. n. 215/87).Ciò ha determinato una crescente delega dell’inclusione ai soli docenti per il sostegno che a sua volta ha incrementato una  sempre maggiore  richiesta di ore di sostegno sia da parte delle famiglie sia da parte delle scuole con impressionante crescita sia delle certificazioni di disabilità, sia di sentenze che assegnavano crescenti numeri di ore di sostegno.Ma questa crescita spropositata delle ore di sostegno , esplosa a partire dall’inizio degli Anni Duemila è divenuta inarrestabile con l’introduzione dei Patti di stabilità , formalizzati in modo rigidissimo con l’art 64 della L.n. 133/08, che rende personalmente responsabili Dirigenti scolastici , degli uffici scolastici regionali e ministeriali dello sforamento dei baget fissati annualmente.La conseguenza è stata  un incremento dei ricorsi giurisdizionali; infatti i Dirigenti, non potendo sforare i baget loro assegnati per le  ore di sostegno, erano costretti a cedere solo in presenza di una sentenza che aumenta il numero delle ore di sostegno.Ragione per la quale addirittura Dirigenti disponibili ad aumentare le ore per evidenti esigenze didattiche, si augurano , per venire incontro alle giuste richieste delle famiglie, che queste promuovano azioni giudiziarie.Tali azioni sono notevolmente agevolate da una visione fondamentalmente medica del processo di inclusione. Infatti gli avvocati per avere maggiori probabilità di successo hanno basato la richiesta delle ore  in più non su esigenze didattiche, di difficile prova, ma su esigenze di salute, trattandosi di alunni  che , come stabilisce l’art 3 comma 1 l.n. 104/92,” hanno  una minorazione stabilizzata o progressiva “.                    Quindi l’inclusione ormai sempre meno si basa sui progetti didattici e sempre più sulle diagnosi cliniche; questo è lo snaturamento maggiore che la cultura dell’inclusione ha subito  e non si vedono a breve possibili correzioni, dal momento che tali  nuovi orientamenti culturali indotti dalla logica dei procedimenti giurisdizionali  sta divenendo cultura corrente tra le famiglie e , in modo più preoccupante, tra i  Dirigenti scolastici ed i docenti.

Proposte per ritornare alla cultura delle origini
            Mario Tortello, fondatore della Rivista  torinese Handicap & scuola, purtroppo prematuramente scomparso, soleva dire “ in presenza di tali derive sanitarie  riprendiamoci la pedagogia”.Ed è da qui che bisogna ripartire e conseguentemente ristabilire le condizioni per le quali la pedagogia torni ad essere la linfa ispiratrice del rilancio della qualità dell’inclusione scolastica in Italia. Le associazioni, specie quelle aderenti alla F I S H,  da tempo hanno avanzate al Ministero dell’Istruzione alcune proposte che qui sintetizzo.
a) -       E’ ibndispensabile che le classi frequentate da alunni con disabilità abbiano un numero non elevato di alunni. Si era ottenuto nel ’99 il d m n. 141 che fissava a 20 il tetto massimo di alunni in una classe ove era presente un alunno con grave disabilità ed  a 25 quello in presenza di un alunno con  disabilità lieve. La riforma Gelmini ha abrogato tale norma e le associazioni hanno ottenuto  solo l’art 5 comma 2  del dpr n. 81/09 nel quale si stabilisce che “ di norma “      le classi iniziali ( e per logica quelle successive )frequentate da alunni con disabilità “possono essere composte da 20 alunni.Le associazioni allora si sono appellate all’art 4 steddo dpr che consente in via eccezionale di superare tale tetto del 10% e cioè di 2 unità; e quindi si è trasformato il “ possono in debbono “;  però non si è ancora ottenuta una norma precisa sul numero massimo di alunni con disabilità presenti; la c m n. 61/2012 invita i Dirigenti scolastici a non superare il numero di 20 alunni in presenza di un alunno con grave disabilità o due con disabilità non grave. E’ però un invito e probabilmente, stavolta ci si rivolgerà alla Magistratura perché chiarisca anche questo fondamentale aspetto del diritto allo studio degli alunni con disabilità.    
            V ) – Gli insegnanti curricolari debbono tornare ad essere il soggetto cui affidare fondamentalmente la presa in carico del progetto di inclusione, purchè siano messi in condizione di farlo. La prima condizione è avere classi non numerose e ciò è adesso possibile.
            La seconda e fondamentale condizione è che abbiano unba formazione iniziale ed ovvligatoria in serivizio sulla didattica dell’inclusione .Quanto alla formazione iniziale le associazioni sono in parte riuscite ad ottenere l’obbligo di 31 crediti universitari formativ, pari a circa un semestre però per i soli docenti della scuola dell’infanzia e primnaria ( d m n. 249/10 art 13 ); per quelli di scuola secondaria solo sei crediti,che si chiede fortemente vengano portati alla pari con gli altri. Per la formazione  obbligatoria in servizio, specie per conoscere i problemi educativi degli alunni con disabilità  che di anno in anno si trovano in classe, ancora si brancola nel buio.
            c) – la terza condizione indispensabile è la continuità di docenti per il sostegno. Purtroppo tale condizione oggi è quasi inesistente a causa delle norme di stato giuridico dei docenti. Infatti i docenti di  sostegno  di ruolo possono lasciare con un trasferimento la classe dopo massimo cinque anni ( talora ridotti a tre se hanno frequentato un corso di specializzazione durante il servizio); quelli precari sono soggetti annualmente a cambiare sede con gravissime conseguenze specie per gli alunni con disabilità intellettive che richiedono molto tempo per trovare una buona sintonia  coi docenti.Su questo aspetto le associazioni hanno formulato  diverse proposte dall’aumento degli anni di permanenza sul sostegno per i docenti di ruolo ad una maggiore durata degli attuali incarichi annuali  per i precari, sino a pervenire alla richiesta di costituzione di un’apposita classe di concorso di sostegno, che quindi venga seguita da docenti che fanno una ben precisa scelta professionale.
            D) - A queste condizioni si aggiungono altre esterne alla scuola, come la garanzia dei trasporti gratuiti, l’eliminazione delle barriere architettoniche e senso percettive che purtroppo ancora interessa circa il 50% delle scuole,la presenza di assistenti per l’autonomia e la comunicazione forniti dagli Enti locali, che però spesso difettano per numero e per formazione, specie a causa dei recenti tagli alla spesa degli stessi.
E) – Ma la condizione di fondo rimane pur sempre il cambiamento culturale che rimetta al centro dei problemi l’aspetto pedagogico. Se non si recupera il senso del valore didattico dell’inclusione sia da parte dei Dirigenti scolastici , dei docenti e delle famiglie le altre imprescindibili condizioni non riusciranno a realizzarsi.
            E’ inutile nasconderselo; si è perduta la spinta propulsiva della fine degli Anni Sessanta primi Anni Settanta; l’inclusione in buona parte è sentita come non più un’occasione di rinnovamento della didattica e della scuola, ma come un fatto burocratico di mero rispetto formale delle norme; non è più sentito come una conquista corale di una comunità che si rinnova, ma come l’attuazione di un diritto egoistico da parte delle famiglie e di un peso da parte dei docenti.
            Ovviamente non tutti i docenti e non tutte le famiglie la pensano così; specie i docenti delle scuole  dell’infanzia e primarie    e alcune famiglie educate dalle associazioni credono alla necessità di unire tutte le forze per migliorare la scuola e con essa la qualità dell’inclusione; però la maggioranza non è ancora stata contaggiata da questa sete di cambiamento radicale e quindi non si impegna a sostegno delle minoranze che invece lavorano quotidianamente per questo rinnovamento.
            Senza questo recupero di coscienza corale da parte della società sarà difficile o almeno molto faticoso far breccia nella classe politica che dovrà emanare le norme necessarie a questi cambiamenti. Siamo in pochi che crediamo in ciò; dovviamo fare proseliti. E’ una questione di fede laica nella dignità delle persone umane, specie quelle più deboli.
            Certo le condizioni finanziarie non ci aiutano e quelle di morale pubblica di parte significativa della classe politica  ci ostacola.
            Però, come ci disse Sergio Neri prima di lasciarci “ andate avanti voi che ci credete  “. Sono certo che cammin facendo il nostro gruppo si ingrosserà in tutto il Paese.

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